Quando sento l’esigenza di muovermi o esprimermi controcorrente mi viene sempre in mente il titolo di un libro che andò abbastanza forte degli anni ‘90, "Jack Frusciante è uscito dal gruppo" (l'autore è Enrico Brizzi, lo si trova edito da Mondadori, 2017) che prende le mosse dall’abbandono dei Red Hot Chili Peppers, nel pieno del loro successo, da parte di Frusciante, il chitarrista della band californiana. Ecco che allora dico a me stessa che sono in “modalità Jack Frusciante” (che poi si chiamava John, non Jack). Non so per voi, ma per me “uscire dal gruppo” è stata una lenta conquista: ho dovuto fare i conti con alcuni timori e alcuni pensieri-freno. Uscire dal gruppo significa mettersi spesso in una posizione di margine, o frontale rispetto agli altri; può significare essere non compresi, o addirittura esclusi; può significare confliggere. Ed anche sorprendere, deludere, perfino ferire. Ecco allora che spesso le persone si affannano per non uscire dal gruppo: ma rimanere allineati, conformi, e aderenti alle aspettative altrui non è cosa da poco, ed è per questo che parlo di “affanno”. Sembra più semplice rimanere dentro che saltar fuori, ma poi capita di mettere a fuoco che molta dell’energia va nel presentare agli altri una versione di noi che non ci somiglia del tutto, solo perché pensiamo possa essere più accettata. Ed eccoci affaccendati a dire la cosa giusta, a prevenire gli errori, ad architettare strategie per rimediare laddove pensiamo di aver detto o fatto cose inopportune. Ma qual è la Grande Domanda che sta sotto a tutto questo affanno? E’ sempre la stessa: sarò degno/degna d’amore anche se sarò me stesso/me stessa?