Tempo fa un paziente di una quarantina d’anni descrisse in maniera straordinariamente vivida l’esperienza di profondo malessere che lo attanagliava da molto: “Hai presente – mi fa – quel giocattolino da bimbi piccoli, quel cubo con le pareti forate, che ogni foro ha una forma diversa: un triangolo, un tondo, una stellina… Ecco: io mi sento come una stella che si è forzata per una vita intera dentro al buco a forma di triangolo…”. La psicologia moderna ha un termine ben preciso per definire questa condizione – Falso Sè – ma vi assicuro che nulla meglio di questa similitudine poteva restituire in modo più esatto tutta la sofferenza e tutta l’enorme fatica di chi vive una vita che gli/le assomiglia poco, o per nulla. Rendersi conto di aver provato a vivere “sotto mentite spoglie” è forse una delle sofferenze più profonde e stranianti che un essere umano possa provare, perché mette davvero in dubbio tutta la sostanza e tutta la veridicità della propria esistenza: a volte se ne sperimenta una consapevolezza piena e dolorosa, come nel caso del mio paziente; a volte invece questa consapevolezza non c’è, ed al suo posto possono esserci sintomi d’ansia, sogni ricorrenti, addirittura un sottile ma persistente senso di colpa che il grandissimo psicoanalista Irvin Yalom definisce addirittura come esistenziale, ossia nei confronti della vita stessa, quando alla nostra esistenza facciamo il torto di non garantirne, per quel che possiamo, pienezza. Che fare, qualora ci si dovesse accorgere di essere Stelle incastrate in un Triangolo? Provare con saggezza, determinazione e rispetto di sé ad andare in cerca della propria forma: è l’unico, vero modo di onorare la nostra esistenza in un mondo che ha bisogno di noi per come siamo e non per come pensiamo di dover essere.